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57. Nè dee l’uomo di sua nobiltà, nè di suoi onori, nè di ricchezza, e molto meno di senno vantarsi; nè i suoi fatti o le prodezze sue o de’ suoi passati molto magnificare, nè ad ogni proposito annoverargli come molti soglion fare: perciocchè pare, che egli in ciò significhi di volere o contendere co’ circostanti, se eglino similmente sono o presumono di essere gentili e agiati uomini e valorosi; o di soperchiarli, se eglino sono di minor condizione, e quasi rimproverar loro la loro viltà e miseria, la qual cosa dispiace indifferentemente a ciascuno. Non dee adunque l’uomo avvilirsi, nè fuori di modo esaltarsi; ma piuttosto è da sottrarre alcuna cosa de’ suoi meriti, che punto arrogervi con parole; perciocchè ancora il bene, quando sia soverchio, spiace. E sappi che coloro che avviliscono se stessi con le parole fuori di misura, e rifiutano gli onori che manifestamente loro s’appartengono, mostrano in ciò maggiore superbia, che coloro che queste cose, non ben bene loro dovute, usurpano. Per la qual cosa si potrebbe per avventura dire, che Giotto non meritasse quelle commendazioni, che alcuno crede, per aver egli rifiutato di essere chiamato maestro; essendo egli non solo maestro, ma senza alcun dubbio singolar maestro, secondo quei tempi. Ora che che egli o biasimo o loda si meritasse, certa cosa è, che