dee adunque noiare altrui con si vile maleria come i sogni sono, spezialmente sciocchi, come l’uom gli fa generalmente. E comechè io senta dire assai spesso, che gli antichi savi lasciarono ne’ loro libri più e più sogni scritti con alto intendimento e con molta vaghezza; non perciò si conviene a noi idioti, nè al comun popolo, di ciò fare ne’ suoi ragionamenti. E certo di quanti sogni io abbia mai sentito riferire, comechè io a pochi soffera di dare orecchio, niuno me ne parve mai d’udire che meritasse che per lui si rompesse silenzio; fuori solamente uno che ne vide il buon messer Flaminio Tomarozzo gentiluomo romano, e non mica idiota nè materiale, ma scienziato e di acuto ingegno: al quale, dormendo egli, pareva di sedersi nella casa di un ricchissimo speziale suo vicino; nella quale poco stante, qual che si fosse la cagione, levatosi ii popolo a romore, andava ogni cosa a ruba; e chi toglieva un lattovaro e chi una confezione, e chi una cosa e chi altra, e mangiavalasi di presente, sicchè in poco d’ora nè ampolla nè pentola nè bossolo né alberello vi rimanea che voto non fosse e rasciutto. Una guastadetta v’era assai picciola, e tutta piena di un chiarissimo liquore, il quale molti fiutarono, ma assaggiare non fu chi ne volesse, e non istette guari, che egli vide venire un uomo grande di statura,