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io ho di lui, e per fargli bene: esso vuol piuttosto far quello che debbe, che quello che gli sarebbe utile, ed essendo benissimo trattato dal vescovo di Treviso, non vuol usare questa ingratitudine d’abbandonare S. S.; e sapendo, ch’io doveva scrivere a V. S. m’ha pregato, che io glielo raccomandi. Veramente è molto amorevole e grato suo discepolo. Se io avrò affaticato V. S. con tanto cattiva lettera, sia contenta di perdonarmi, e d’incolpar di ciò le podagre o chiragre, che par mi percuotano più volentieri le dita che scrivono, che altra parte; volendomi forse ammonire, comechè tardi, che io lasci star l’arte, ch’io non so fare. Prego Dio, che consoli V. S. Di Venezia, il primo di settembre, 4554. LETTERA XI. A MESS. CARLO GUALDERUZZI DA FANO

Io non potrei esprimere con parole la molestia che io sento del disparer, che è nato fra il Clar. Quirino e voi, per così leggieri causa, come voi scrivete. Che se voi concedete l’utile e l’onore di quella benedetta istoria a S. M., che difficoltà può più rimanere, che sia degna di tanto sdegno fra due amici tanto intrinsechi, e fra due bontà tanto singolari? Non posso credere, che avanti il par-