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millanterie, e del vento, di che tu hai pieno il capo; che essendo di niun valore, e inferiore a ciascuno, ti tieņi in ogni cosa il maestro; nè perchè la prova ti mostri sempre il contrario, ti rimuovi mai da questa opinion falsa, anzi la confermi sempre più. Che non sai dire, nè far cosa che sia, come quello, che non ti sei mai voluto spiccare dalla conversazione di genterelle, e sei brutto come un zingano; benchè io odo che tu ti persuadi d’esser bello, tanto se’ cieco, ed ebbro nella tua vanità. Che vuoi tu che si speri di te? È questo quello che tu scrivesti al Ruffino di voler fare a consolazione di tuo padre, e mia; e in emenda di tanti, e sì lunghi, e sì fatti tuoi falli? Credi tu che io non sappia, che tu giocavi a Siena tutta notte? Questo è il frutto che tu hai cavato di sprezzare le lettere e l’altre virtù. Odi ora quello che tu avrai di amare i vizi così cordialmente. Tuo padre, al quale tu hai colle punture, che ei riceve da te, accorciato la vita assai visibilmente, ha venduto uno di quegli offici, che erano in tua persona, e andrà vendendo gli altri di mano in mano, acciocchè tu giuochi, e..... della parte tua, e non di quella de’ tuoi fratelli, i quali onorando la casa loro, come io spero, accresceranno vergogna e biasimo a te; e dell’amor paterno, e del desiderio, e cura di farti grande e onorato, ha scemato tanto, quanto