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contentandoti e rallegrandoti delle tue medesime intrinseche laudi, conosciute ed approvate dalla tua propria infallibile coscienza. Non credere dunque che io ti abbia detto villania perchè io ti ho scritto che l’ambizione ti trasporta; chè io ti ho voluto dire che tu non sei ancora ben temperato in questa virtù di appetire gli onori e che tu fai troppa stima di alcune gloriuzze minute e fanciullesche. E certo io stimo che sia maggior parte di virtù in desiderare gli onori meritati e giusti, che di vizio in desiderargli stemperatamente, e massimamente in un giovanetto come sei tu. Per il che non ti biasimo che tu ami la gloria, ma ti esorto che tu ti studi di meritarla: ella segue per lo più le buone opere, come il suono le percosse e come l’ombra i corpi. Io non avrò forse tempo di scrivere a messer Pandolfo, al quale però scrivo assai, scrivendo a te. Dirai dunque, che io ho avuto la sua epistola buona e ben latina, rispetto a poco esercizio che egli ha, e però lo priego tanto più a seguitare, e risponderogli con questo altro corriere; e tu scriverai più a lungo de ratione studiorum di tutti voi. Mi avevano dato licenza d’andarmene, e poi me l’hanno tolta o sospesa, tanto che io starò qui questa staté, o io verrò per due mesi a Montaio. Non credo che bisogni ch’ io ti raccomandi la dappochezza di Colino: non lo la-