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loro porre sempre innanzi e qual sempre dopo, e altre simili regole, che essi chiamano di costruzione. Oltra alle predette cose, bisogna che noi notiamo con ogni nostro potere i modi del favellare che sono nella consuetudine di quella nazione, della quale noi rappresentiamo il linguaggio. Perocchè in ciò è posta gran parte della proprietà e della vaghezza del parlare, come io dirò più distintamente poi. Perocchè noi diremo molto toscanamente: io me ne anderò a richiamare alla signoria, e io son vago difare la emenda, e molti altri modi useremo favellando in toscano, che in latino riuscirebbono barbari e poco grati. Dobbiamo eziandio avvertir alcuni costumi della lingua che noi impariamo: nè crediate che la nazione dorica avesse solo nella architettura sua quella piacevole rusticità; perciocchè ella la ebbe eziandio nel suo linguaggio e molte altre nazioni hanno avuto nelle loro favelle per usanza alcuni vizi dilettevoli, come di spesso accorciare o allungare le parole, e tale ha costume di giurare, e tale di chiamare colui con chi ella ragiona molto spesso, come io dirò poco dopo. Torpando dunque alla prima parte, dico che le parole e i loro significati s’imparano dal maestro o col vocabolario, ma grossamente per lo più; avvegnachè pochi si trovano che sappiano perfettamente una lingua, e pochissimi quelli che sapendola possano mostrarla altrui, e però....