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di avere, essendo solo. E certo io non niego, che la potenza dell’imperadore non sia molta, anzi confesso, che ella alle nostre forze soprasta di gran lunga (e da questa cagione mosso e costretto, priego io tanto la mia patria, che interrompa il suo grave sonuo e lungo); ma dico bene, che egli alle forze di questa lega non potrà in alcun modo esser pari: il che se noi vogliamo, deposto il timore, considerare, manifestamente esser vero si conoscerà. Perocchè per quattro ragioni sono le città, e ciascun principe, robuste e possenti; cioè se son di danari copiosamente fornite; se posseggono molte città e forti; se sono abbondanti di uomini di guerra marittima e terrestre; e se sono dotate di cuore e di consiglio. Il che così essendo, non è mestiere, ch’ io dica quanto la nostra lega nelle tre prime parti avanzi l’ imperadore; conciossiachè di tesoro non possa alcuno pur col re solo contrastare, nè di valorosa milizia ed esperta niuno contra gli Svizzeri, e Guasconi, e Lanzinec, ed Italiani opporsi, nè di forti e fedeli terre con esso noi in alcun modo contendere. Da vedere ora è, se noi dobbiamo contendere di esser vinti da lui di consiglio e di senno; perocchè di gente, e di ricchezze, e di terra siamo noi di lui meglio forniti e più potenti. E certo io non niego, che l’imperadore non sia assai famoso in