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rebbe la confusione, e la distruzione d’Italia e la vostra. Appresso, Serenissimo Principe, tuttochè questa magna e regal città sia maravigliosamente dalla natura situata, e da voi e da’ vostri antecessori con incomparabile senno retta ed ammaestrata; nondimeno niuna cosa alla conservazione di lei ha più giovato, che lo esser ella stata sempre pur quella stessa, senza mai aver mutato governo pé reggimento; e lo esser de’ vostri avversari, e spezialmente dell’ imperio addivenuto il contrario, che si è mutato in pochissimi anni, sempre non solo di persona in un’ altra, ma eziandio d’uno in un altro lignaggio: siccome quello, che non va di mano in mano ne’ discendenti, ma cade in colui, che nominato è dagli elettori, chi che egli sia. Per la qual cosa il più delle volte addiviene, che quanto l’uno imperadore per suo senno e prudenza ha avanzato l’imperio, tanto lo abbassi l’altro, che non può così tosto essere di forza e di seguito pari al suo antecessore: siccome quello, che nel governo è nuovo, e le armi̇’del morto imperadore non può nè sa usare, ed halle sospette; o non ubbidiscono a lui, e le sue non ha in assetto. Senza che la potenza dell’ impero per se stessa è assai picciola e ristretta, e poco di lei sarebbe da temere, se ella non si fosse per mala ventura accozzata colle forze della