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soccorrere alla nostra libertà; la quale negar non si può, che noi di ora in ora perire e sommergersi non sentiamo. Ma veggio bene, che molti del nostro presente stato la scorza sola, e quel di fuori gustando, e dolce e piacevole loro parendo, male dall’ usato cibo si sanno diverre; e dall’ altra parte la turbata faccia, e ’l virile aspetto della guerra per l’animo rivolgendosi, sbigottiscono, ed ogni cosa temono, e ad ogni partito, che lentezza ed ozio non sia, molte cose oppongono, e molti pericoli e molti travagli ricordano: coi quali, Serenissimo Principe, non è da disputare più lungamente; perocchè assai, per quello che io detto, è chiaramente dimostrato quale sia il nostro presente, non dico ozio no, nè quiete, ma mortifero letargo, il quale, se possibile fosse, che noi dal cerebro di questa inclita repubblica cacciassimo con alcuno piacevole e sicuro succo, e senza rischio e senza noia di lei sana la rendessimo, io non consiglierei, che noi guerra, o altro affanno di sostenere per guarirla ci disponessimo. Ma perocchè le gravi infermità (quale la nostra è) con gravi medicine, e non con dolci e leggieri bevande a sanità si conducono, apparecchinsi costoro insieme con gli altri loro nobili cittadini di resistere alla forza, non coll’ozio e colla pace, ma coll’ armi e col travaglio; nè sperino questi tali, nè alcuno altro,