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cellentissimi! Se questa è pace, qual sarà la servitù? Qual fanciullo fu mai così pauroso e timido, che tremasse tanto sotto la sferza del rigido maestro, come facciamo noi sotto il rigoroso arbitrio del nostro crudo avversario? E parne di mantenere la nostra pace? Nè pure a questo termine contenti ne lascia stare la paura che noi abbiamo; ma come alcune femminette fanno, le quali per dimostrare ancora più apertamente la loro paurosa lealtà al severo marito, sè essere state tentate dagli amanti loro narrano: così facciamo noi, ed all’imperadore scriviamo, che il re cristianissimo sollecitati n’ha, la compagnia delle sue armi profferendoci, ma che la. sua obbediente sposa, e dimessa, per non rompere a Sua Maestà la matrimonial fede, l’ha rifiutate, e ributtate indietro. Troppo prezzo è, Serenissimo Principe, la nostra libertà a doverla dare per aver ozio e quiete, e massimamente tal ozio, quale il nostro è, pieno di paurosi pensieri, e di atti più a vil serva, che a nobil città convenienti. Nè voglio io che alcuno creda, che la nostra paura sia a sua Maestà occulta: anzi gli è palese, ed in tanto manifesta, che egli (per quel che io odo) usato è di dire un motto forse per se stesso ingegnoso, ma verso di noi certo cdioso e spiacevole; cioè, che i Veneziani così tengono Morano, come alcuni tengono alle