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questa città riguardiamo all’ imperadore, non come ad amico e a compagno, ma a maestro e signore, anzi più, perocchè i discepoli e i servidori i comandamenti de’ loro superiori attendono, e noi quelli dell ’ imperadore c’indoviniamo, ed in ciascuna nostra deliberazione, la principal considerazione, e la prima è, di non far cosa, che a Sua Cesarea Maestà dispiaccia, e se noi trattiamo di afforzare alcuna delle nostre città, e se noi consultiamo d’impedire le leghe altrui, e se di fare le nostre, non so se ciò a noi sia utile, ma se a Sua Maestà sia a grado, attendiamo. Nè questo nostro timore, e la paura che noi abbiamo, è solo a noi manifesta, nė solamente ne’ nostri segreti consigli apparisce, ma eziandio nelle azioni pubbliche e palesi dimostriamo noi poco ardire, e poco franca sicurtà, siccome nella morte di Lorenzo de’ Medici si è conosciuto; il quale in grembo di questa repubblica, di mezzo giorno, veggenti noi è stato ucciso e tagliato a pezzi; e niuno è fra tanto, e sì vario, e si confuso popolo così barbaro, e così nelle sue private faccende occupato ed immerso, a cui non dico non ne dolga forte (perocchè di sì fiero accidente non gli uomini soli di questa città umanissima, ma le tempeste e gli scogli di questi mari sentono pietà e duolo incompa rabile), ma dico, che niuno è fra tanta molti-