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lo silenzio diviene. E certo io non niego, che ’l desiderio di pacificamente vivere non sia degno di commendazione e di laude, siccome cosa a magnanimo, e contento, e diritto popolo conveniente; anzi confesso, che coloro, che l’armi, e le rapine, e le battaglie amano, opera non cittadinesca, ma di tiranno appetiscono; ma dico, che molti furono già, i quali intanto il riposo e la quiete amarono, che della bellezza di lei invaghiti, e della sua dolcezza inebbriati, non sanamente quello, che nella pace lodar si dee, intendendo, se medesimi, e le loro più preziose cose lasciarono in gravissime miserie traboccare. Le quali cose considerando io, ed alla salute della mia dolcissima patria di e notte ripensando, spesso nell’animo mi cade di dover temere, che ciò similmente a noi non avvenga. Conciossiachè noi, d’ozio o di riposo vaghissimi, poco addentro mirando, parendoci la nostra quiete abbracciare, non lei, ma la sua ombra (secondo che io stimo) stringiamo: dalla piacevolezza della quale, mentre che noi siamo lusingati, ed a parole tenuti, io temo forte, che ’l nostro sollecito, ed aspro, ed avaro avversario, armato ed apparecchiato, noi ignudi e sprovveduti non sopraggiunga, e della nostra libertà (non prendendo noi di ciò guardia) o ne privi, o ne rechi in forse. Perocchè mentre i nostri nobili cittadini gli agi, e