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stato si converrebbe, fatto ardito e prosontuoso, la sua antica magnanimità a Carlo V richieggo, e la sua carità usata gli addimando. La divina bontà guardò il vostro vittorioso esercito da quelle mortali seti africane e dievvi che voi conquistaste quel regno in sì pochi giorni, acciocchè voi di tanto dono conoscente, la sua santa fede poteste difendere ed ampliare; e non perchè voi la misera cristianità, tutta piagata e monca e sanguinosa, quando ella le sue ferite sanava ed i suoi deboli spiriti rafforzava, a nuove contese e a nuove battaglie suscitaste, per aggiugnere una sola città alla vostra potenza. Questa medesima divina bontà rendė tiepide e serene le pruine ed il verno della Magna, ed i venti e le tempeste del settentrione acquetò per salvare il suo eletto e diletto campione; e diedegli tanta e sì alta vittoria fuori d’ogni umana credenza, non a fine che egli poco appresso, per avanzarsi, imprendesse briga con santa chiesa; ma acciocchè egli la ubbidisse, e le sparse e divise membra di lei raccozzasse ed unisse, e col Capo suo le congiugnesse; siccome Vostra Maestà farà di certo: perciocchè cotanta virtù, quanta in voi risplende, non puote in alcun modo nė con alcuna onda di utilità estinguersi, nė pure un poco intiepidirsi giammai. Piaccia a colui, al quale essendo egli somma bontà ogni