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cettata Piacenza, si debba forse in sè approvare; nondimeno, perciocchè questo fatto verso di voi e con le altre vostre chiarissime opere comparato, per rispetto a quelle, molto men riluce e molto men risplende; esso non è da’ servidori di Vostra Maestà, com’ io dissi, volentier ricevuto, nè lietamente collocato nel patrimonio delle vostre divine laudi. E veramente egli pare da temer forte, che questo atto possa arrecare al nome di Vostra Maestà, se non tenebre, almeno alcuna ombra, per molte ragioni, le quali io priego Vostra Maestà che le piaccia di udire da me diligentemente, non mirando quale io sono, ma ciò che io dico. E perchè alcuni acciecati nella avarizia e nella cupidità loro affermano che Vostra Maestà non consentirà mai di lasciar Piacenza, che che disponga sopra ciò la ragion civile, conciossiachè la ragion degli stati nol comporta; dico che questa voce è non solamente poco cristiana, ma ella è ancora poco umana; quasi l’equità e l’onestà, come i vili vestimenti e grossi si adoperano ne’ dì da lavorare e non ne’ solenni, così sia da usare nelle cose vili e meccaniche e non ne’ nobil affari: anzi è il contrario; perocchè la ragione alcuna volta, come magnanima, risguarda le picciole cose private con poca attenzione, ma nelle grandi e massimamente nelle pubbliche vegghia ed attende; siccome quella che N. S.