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erano eguali a queste ma più corte destinate forse per ricoprire il solo pesce del braccio; e per eguale uso erano quelle enormi che spesso vediamo in bronzo. Sarebbe però errore il credere armille muliebri quelle gravissime che non si poteano sostenere se non dal braccio muscoloso e forte dei guerrieri e dei gladiatori, ai quali poi erano queste non di rado a segno di onoranza o come premio di fatiche militari o di giochi donate. L’induzione esposta è confermata da alcuni bassorilievi antichi rappresentanti gladiatori in atto di combattere, che hanno al braccio destro le dette spire, e da altri che rappresentano ritratti aventi sospesi al collo per una larga fascia due armille della maggior grossezza, quasi a mo’ di torqua gladiatoria.
Le donne romane usarono anche le armille per sostenere amuleti, e Plinio nota diverse maniere di rimedi che si credevano ottenere inserendo certe sostanze particolari entro quelle che si portavano di continuo. Fu per tal superstiziosa credenza che Nerone per consiglio di Agrippina spesso portava sul braccio diritto un armilla di oro che celava le spoglie di un serpente. Le donne di alto lignaggio usarono armille di gran pompa la cui zona metallica era ornata di gemme e di altri ornamenti sontuosi. I doni di ambra (succína grandia) che, secondo Giovenale, venivano inviati alle dame nei giorni natalizi loro, erano probabilmente armille di ambra e di oro. Ma la corruzione romana e l’invasione dei barbari fecero nelle proscrizioni, nelle devastazioni, nelle confische