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stici, la quale coltivata maggiormente nei claustri all’arte bizantina mischiò le severe linee dell’antica architettura, come si vede nei bei reliquari di Aquisgrana e di Colonia ed in tutti gli arnesi sacri di quell’epoca.

Circa il mille e duecento poi fiorì il monaco Teofilo il quale ci lasciava un buon trattato intorno al modo di lavorare i metalli preziosi, e la sua scuola fece a poco a poco avanzar l’arte della oreficeria che si andava lentamente dispogliando della rozzezza acquistata nei secoli di barbarie, insino a che nel secolo decimoquinto rifulse sotto nuovo aspetto pel valore di una nuova e migliore scuola italiana creatrice di non più veduti prodigi, a capo della quale furono Maso Finiguerra, il Caradosso e Benvenuto Cellini.


VIII.


I valenti capi scuola dell’arte dell’oreficeria al secolo XV aveano smarrito la tradizione delle scuole antiche, e non poteano avere sott’occhio gli ori di Vulci, di Chiusi, di Cervetri e di Toscanella, i quali erano tuttavia sepolti nelle tombe ignote de’ loro prischi possessori. E però si dilungarono interamente dallo stile greco, dall’etrusco e dal romano, e fondarono una nuova maniera di operare in quest’arte, guidati solamente dal genio italiano, e armonizzandola con le forme sotto le quali risorgevano le arti sorelle.

Fecero dunque studi, ed usarono metodi dagli