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fame, stremenzite da quelle ultime giornate di pioggia e di carestia; e il vuoto dello stomaco raffinava la loro fantasia come il digiuno l’esaltazione dell’asceta solitario.
Il volpone sentiva però il cambiamento del tempo, e che era giunto il periodo della giustizia. Poiché se Dio lo aveva messo al mondo, regalandogli anzi con prodigalità quasi paterna tanti mezzi per farsi valere, bisognava pure che si aiutasse. Uscì dunque all’aperto, subito seguito dalla compagna: era piuttosto piccolo e quasi nero, con una coda più lunga e più grossa dello stesso corpo: gli occhi brillavano come le stelle. La volpe era più grande, bionda, morbida: lunghissima, sapeva tuttavia farsi piccola come una martora di nido.
Seguiva il compagno senza una volontà precisa, imitandolo nel modo di camminare, cioè mettendo le zampe posteriori sull’orma di quelle anteriori, in modo che l’impronta, se la coda non riusciva a cancellarla del tutto, sembrava di una bestia con due sole zampe.
Scesero fino alla riva del fiumiciattolo, in fondo al pendio, e stettero in ascolto. L’acqua, ingrossata dalle ultime pioggie, sviava qua e là tra i giunchi del greto, con leggeri brontolii come di protesta: il luogo odorava di menta. Il maschio bevette, più che