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col viso piegato sul foglio con un atteggiamento che rassomigliava a quello della bambina: e, invero, anche il suo era un senso di smarrimento profondo, come se ella si trovasse, spintavi a forza, in casa d’altri, in un mondo nuovo e sconosciuto, che al solo guardarlo di sfuggita destava meraviglia e timore insieme.
Ombre e luci, fantasmi e angeli, altezze e abissi la circondarono: le passarono davanti fantasmagorie di nuvole nere e fiammanti, come quelle che dopo un temporale estivo marciano sull’orizzonte, in lotta col sole.
Augusta. Sì, la ricordava. Bruna, formosa, con la bocca e gli occhi ardenti, i fianchi ondulanti come quelli della Sposa del Cantico dei Cantici: e anche come quelli delle tigri.
Ella si era persino ingelosita della sua serva possente e felina e del «buon consorte» che in gioventù era stato biondo e aveva gli occhi celesti come quelli della bambina seduta al suo fianco.
Ombre fuggenti; passato cancellato dal tempo e dalla morte. Sollevò il viso e guardò la piccola messaggera come la vedesse solo allora. Il rosso stonato del vestitino povero e pretenzioso le destò quasi una vampata di odio.