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— Questa volta, caro il mio signor Massimo, è proprio vero che ce ne andiamo.

Egli perde la sua forzata prudenza: ed è lo strano, insolito modo di parlare di lei che più lo turba: batte il suo bastoncino di canna d’India sul piede della panchina, come si tratti di castigare un animale, e vuole, a sua volta, dimostrarsi sicuro, padrone di sé, anche lui prepotente.

— E buon viaggio, — disse quasi gridando.

Ella lo guardò con una certa dignitosa compassione.

— A chi lo dice, buon viaggio?

— Ma a lei, pregiatissima signora Annetta. Tutti gli anni, di questi tempi, le vengono le smanie. Fin da quando è giunta dal suo bel paese natio, nel tempo dei tempi, arrivato il caldo, diceva che la sua famiglia la richiamava a casa, che suo padre la aspettava per aiutarlo nei lavori campestri. Balle. Tutte le ragazze di servizio, giunta la dolce stagione, tirano fuori questa scusa per tornare all’aperto e darsi un po’ di sfogo. E si capisce: in campagna è un’altra cosa; c’è libertà sfrenata, ci sono i maschiacci, pronti a tutti i pizzicotti, e le notti fatte apposta per gli intrugli d’amore. Quando poi sono soddisfatte, queste signorine tornano dai padroni imbecilli. E anche lei, signora Annetta, tutti

Deledda, Sole d’estate 5