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compagna la sua lunga ombra che sembra un uccello fantastico, con le ali grottesche dei due allegri fardelli. E di un uccello che ha perduto l’uso e la potenza del volo, ma ancora ne ricorda l’ansito e la voluttà, la signora Lea sente la leggerezza, o almeno la nostalgia: e il profumo delle acacie, i gridi dei fringuelli che salgono dalla valle, quello stesso odore di pietra che emana da ogni cosa, le pare esalino dal suo cuore, col suo respiro ansante di beatitudine.

Poiché ogni sasso, ogni ciuffo di erba, ogni ruga del luogo, e il luogo stesso, tutto è di nuovo suo, come trenta, come cinquanta anni prima. La casetta rossa è di nuovo sua; là è nata, là è morto suo padre, che è stato il primo a scavare le pietre dal monte; là vive ancora la sua vecchia mamma, per la quale ella è sempre la fanciulla di quindici anni che dall’orlo del muricciuolo fissa, al tramonto, i mucchi di selci e sogna di scendere con essi, dalla cima solitaria dei monti, alle grandi strade battute dal ritmo delle passioni umane.