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gnora con una ricca pelliccia di lontra, all’antica, e con una mazza d’uomo alla quale si appoggiava zoppicando, si avvicinò alla panchina, con l’evidente desiderio di riposarsi. E fu Marino a ritrarsi garbatamente, per farle posto, addossandosi a Gregorio, che lo accolse con una gomitata. La signora ansava lievemente, ma pareva tutta beata di aver trovato finalmente da sedersi e di vedere davanti a sé, nella luminosa fantasmagoria dello sfondo, il miracolo della fontana: la maschera cascante e pelosa del suo viso s’illuminava a tanto riflesso; e di sopra gli occhiali a stanghetta pareva sollevarsi come un arco azzurro: era lo sguardo dei suoi occhi buoni e beati.
I ragazzi non badavano a lei, che a sua volta non pareva curarsi di loro. Avevano cominciato a urtarsi sul serio e si scambiavano parole cattive.
— Le mie giuggiole sono amare? E allora sùcchiati quelle dei quattrini che ti dà tuo padre. Oppure sputa anche queste, — dice Giulio, porgendone altre due a Gregorio, ma mentre questo sta per prenderle e buttarle via con sdegno, l’altro le ritira e per maggior dispetto le offre a Marino.
Marino le accettò, sebbene anche lui irritato e umiliato; se le cacciò in tasca e tirò