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Non ricordo, e un senso di stordimento mi prende: penso alla leggenda che dice appunto la Sardegna un grande scoglio sopravvissuto alla sommersione dell’Atlantide: ad ogni modo sono certa di aver percorso questa strada con compagni ben diversi da quelli che adesso, muti e ferrati come un branco di sgherri, mi stringono e spingono.

La gioia azzurra, l’illusione vestita d’iride, il peccato, forse, ma coperto di porpora e d’oro come un principe d’Oriente, mi accompagnavano, in quel tempo lontano; e i lecci non erano sinistri e torvi: felici, anzi, come antenati in mezzo alla numerosa famiglia, e superbi come capitani in mezzo all’esercito vittorioso, non si degnavano di por mente alle comitive dei piccoli uomini che violavano col loro passaggio la quiete panica del luogo.

Adesso tutto è ombra: e il luminoso mistero della vita si è mutato in quello tenebroso della morte.

D’un tratto però la strada svolta, sale, va verso l’occidente; e d’improvviso uno sfondo migliore rischiara il triste andare: è uno sfondo agitato anch’esso; un cielo quasi verde, ferito di nuvole vermiglie, dolorante, ma in lotta contro le tenebre: un cielo di dolore e di speranza.