Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/228


— 222 —


Cammina, cammina, come il bambino smarrito nella selva, il terrore e la speranza spaventosa di un'uscita nel vuoto, mi guidano. Ma la stanchezza del corpo frena il triste camminare: un ginocchio s'irrigidisce e rifiuta di seguire l'altro: eppure continuo; e la mia ombra mi pare il diavolo zoppo che spaurisce e fa ridere i fanciulli.

La strada è lunga, però; tramonta il sole, cade la sera, ed ho paura di smarrirmi davvero.

Domani. Lasciato il progetto al divino domani, per tagliare corto imbocco una strada nuova che so diretta alla mia casa.

È una strada nuova, ma aperta in un parco antico divorato dalla città affamata di spazio. Lecci millenarii la fiancheggiano, e la loro ombra ha come un senso di ostilità e di tragedia: sembrano grandi vecchi sopravvissuti ai loro discendenti, capitani fatti prigionieri dopo l'ecatombe del loro esercito.

Strada nuova? Eppure mi sembra di riconoscerla; come credo di riconoscere i lecci, coi loro occhi rossi di tramonto fissi a guardarmi dallo sfondo del cielo.

Io ho percorso altre volte questa strada, ho conosciuto questi alberi. Quando? In una vita anteriore? O nella fanciullezza ricca e dolce, nel paese favoloso della mia stirpe antica come il mondo stesso?