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torno, con adorazione estetica, ina anche golosa, che si sarebbe volta in martirio se subito dopo l’altare, all’angolo della sala, sopra un banco ricoperto di sacchetti e barattoli, incoronato da un festone di grappoli d’uva, nel cui arco dominava una bella ragazza che pareva una di quelle figure allegoriche dei pittori coloristi, — pomi le guancie, ciliegie le labbra tinte, crespa e arancione la zazzera, come certe zucche esotiche lì accanto, — non si fosse notato un cartellino ristoratore: Vendita al pubblico.

E fu qui che Giulio consumò la sua vendetta. Aveva una lira in tasca; la palpava, con le dita nervose e ossute di figlio d’operai, la scaldava, pareva volesse fonderla un’altra volta. I suoi occhi rapaci correvano da un sacchetto all’altro: scartavano quelli su cui c’era segnato un prezzo superiore alle sue possibilità, e infine si fissarono su certi sacchetti di carta rossa che davano l’idea di lampadine giapponesi. Non la sola ristrettezza del loro costo attirava però la sua attenzione: l’attiravano sopratutto il colore e la forma dei frutti che i sacchetti contenevano; e tutto un mondo lontano, ma radicato nella sua carne con l’indistruttibile nervatura della razza, si chiudeva per lui nel sacchetto. Ecco il cortile del nonno, prima che il padre di Giulio emigrasse e facesse