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— Lo dice sua madre!
Pareva quasi indispettita, la piccola Leny, e faceva smorfie scimmiesche. Della scimmia aveva invero gli occhi vividi e acuti, ma le lunghe ciglia arricciate ne smorzavano l’incosciente animalità: del resto era bellissima, con la carnagione di gardenia, una bocca da render pazzi gli uomini, e un personalino chiuso in un abito nero qua attillato, là a falde, che la faceva paragonare ad un’amazzone in miniatura: paragone sciupato, è vero, dalle collane di vetro e dagli orecchini che l’adornavano selvaggiamente.
L’altra, ricordandosi che era dover suo dare anche qualche lezione alla futura nuora, ribatté, seria:
— Una madre non può mai mentire, a proposito del figlio: la madre vede sempre bello il figlio, questo è vero anche; ma la mia amica Pùliga è troppo schietta, leale e semplice, per esagerare le virtù del suo. E poi non avrebbe neppure scopo di vantarlo, specialmente davanti a una ragazza. È tanto ricco.
Ma l’anima ancora caotica di Leny si sollevò di nuovo, tutta, in una risata che era infantile e nello stesso tempo perversa.
— Oh, — disse, — non avrà certo pensato a me, per suo figlio. Però mi guardava in un certo modo...