Pagina:Deledda - Sole d'estate, 1933.djvu/180


— 174 —


e riboccante di saggia esperienza, le ringiovanì il viso grassotto, adorno di coraggiosi baffi grigi. Disse, con la sua voce ancora giovanile:

— Hai sentito bene tutto? E hai capito? L'ha fatta completa e ingenua, la sua esposizione, perché in fondo la mia buona Pùliga è rimasta come sono io: eravamo compagne di scuola, entrambe con le scarpe a chiodi e la borsa fatta dalle nostre mamme, come quella per la spesa: e avevamo, d'inverno, anche i polsini di lana rossa e blu: poi ci siamo perdute di vista: io ho sposato il mio bravo vicesegretario all'Intendenza, lei s'è sposata più tardi, con un piccolo proprietario, quasi un paesano, che non sdegnava di far pascolare il suo gregge. Adesso hanno qualche cosa come mezzo miliardo; palazzi, ville, quadri di autore, automobili, domestici, s'intende, gioielli, dei quali il migliore è il loro unico figliuolo.

A quest'uscita, la fanciulla si scosse anche lei, anche lei sorrise, anzi rise; ma il suo era proprio un riso maligno. L'altra protestò:

— Non l'ho detto per male. Un ragazzo di vent'anni, che studia, e non ha vizi, e nonostante i suoi milioni vuol lavorare, non è un gioiello? E poi anche un bel ragazzo, forte, sano.