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lunghe orecchie ancora dritte d’angoscia e gli occhi aperti, duri e striati di nero, va adunandosi un misterioso popolo di farfalle e d’insetti, sbucati non si sa da dove; e lo sfiorano, se ne vanno, tornano, come non convinti che un misfatto di quel genere sia stato commesso nel loro regno.

Corso scavava, mordendosi la lingua e digrignando i denti, col desiderio di aiutarsi anche con essi. Nell’ansia aveva dimenticato l’apparizione, mentre in fondo era più che altro per paura del cattivo giudizio di Ginetta che egli tentava di nascondere la sua vittima; ed ecco, la buca era già abbastanza lunga e profonda per l’occorrenza, quando, sollevandosi con un sospiro, vide il fratello, il suo Caino, correre verso di lui, seguito dalla nuvola bianca del vestito della fanciulla.

Un subito coraggio lo strinse però in una corazza infrangibile. Sedette con le spalle contro il tronco e sollevò gli occhi con un baleno di sfida: aspettava il giudizio; aspettava anche la morte, pur di non apparire un codardo, un vile uccisore di lepri di nido.

Mentre l’altro fratello emetteva gridi belluini, Ginetta, silenziosa, si aggirò come gli insetti e le farfalle intorno al leprotto: prima di pronunziarsi, pareva cercasse i segni