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aveva portato con sé: neppure un pappagallo. E i galli continuarono a godersi il suo giardino, fatti adesso silenziosi dall’amore appagato e dai primi calori primaverili. Ma fu come il silenzio che precede la tempesta. Ritornarono gli operai impertinenti, fu aperto un nuovo cancello nel giardino, e questo venne diviso in due da una rete metallica. Si capì subito che il presunto milionario affittava il piano superiore della sua casa, concedendo agli inquilini un ingresso libero. E ben diverso fu il loro arrivo da quello di lui: un camion rosso, che pareva il carro del diavolo, portò i loro mobili sgangherati, in mezzo ai quali, come un idolo di popoli antropofago stava una ragazzina negra, negra autentica, con in grembo un bambino di pochi mesi, sul cui visetto gonfio ella chinava la testa scarmigliata quasi a volerselo davvero mangiare. Era la bambinaia della famiglia che veniva ad abitare il villino, e, manco a farlo apposta, si chiamava Fatima.
In breve questa Fatima fu in realtà l’idolo del quartiere: tutti la fermavano, mentre ella portava in giro la carrozzella a mano con dentro il bambino che si succhiava i pugni: e lei rispondeva a tutti con un linguaggio strano e gutturale che ricordava i gridi delle scimmie.