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al loro seguito. Si discuteva sulla nazionalità dei personaggi che dovevano arrivare, e alcuni mettevano in dubbio la loro ricchezza (se veramente facoltosi, avrebbero dovuto far costruire anche un «garage» e una scala di servizio); persino sulla loro religione si farneticava, sul loro linguaggio, sul colore della loro pelle. Grande fu quindi lo stupore di tutti quando una mattina si vide arrivare una preistorica botticella, dalla quale scese, con una sola valigia coperta d’una fodera gialla, un uomo di mezza età, smilzo, con uno spolverino molto usato e le scarpe impolverate. A dire il vero, dal suo profilo scuro e camuso, e dal corruscare degli occhi bianchi e neri, si sarebbe detto un mulatto; e uno studentello, dopo averlo sentito parlare col vetturino, affermò che il suo accento era spiccatamente brasiliano. Accento, aggiunse la nostra saputella cameriera, che si rassomiglia molto a quello napoletano.
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Per alcuni giorni rimase delusa la legittima curiosità dei vicini di casa del brasiliano: così il nuovo proprietario del villino fu denominato. Neppure una scimmietta egli