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Di giorno, invece, un silenzio quasi campestre allietava i nostri dintorni; e tutti si guardava come un’ara di pace la casetta tranquilla, col suo giardino inselvatichito, le imposte chiuse, sulle quali il sole s’indugiava spiando.
Verso la fine di marzo si venne però a sapere che era stata venduta: e l’incanto cessò. Chiassosi operai la invasero: il segreto delle finestre fu rudemente violato; scale, corde, carrucole la cinsero con un assalto devastatore.
Intervenne anche un giardiniere che, con grandi arie, circondò le piccole aiuole di frammenti di mattoni, vi piantò le banalissime viole del pensiero, e sui viali ripuliti dalle gramigne sparse uno strato di volgare sabbia gialla che, quando cominciò a piovere, diede al già poetico giardinetto un aspetto fangoso e triste. I nuovi proprietari ancora non si vedevano: erano in viaggio, diceva la nostra bene informata cameriera: venivano dall’America o dalle Indie (per lei era lo stesso) con molti quattrini in tasca.
E già prima del loro arrivo, e precisamente a proposito della loro ricchezza, e sopratutto della loro identità, cominciarono i dissidi e le questioni fra i nostri vicini di casa, o meglio fra le rispettive donne di servizio e i ragazzini e le ragazzine che erano