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Per oltre un anno, la pace più celestiale regnò nel quartiere che si abitava prima di venire in questo. Fra la nostra e le case dei vicini sorgeva un villino a due piani, con una striscia di giardino davanti, completamente disabitato. I proprietari lo avevano fatto ripulire, da cima a fondo, con l’intenzione di venderlo; ma poiché ne pretendevano un prezzo esagerato, nessuno si presentava a comprarlo. Padroni, per adesso, ne erano i gatti del vicinato, che, dopo le loro feroci lotte amorose, si sdraiavano sulle gramigne delle aiuole o s’arrampicavano fino alla loggia del pian terreno. Scacciati dagli altri giardini, convenivano tutti lì, e i loro baccanali notturni erano il solo chiasso che disturbava i nostri pacifici sonni: ma un bicchiere d’acqua, lanciato dalla finestra dalla nostra intrepida cameriera, li metteva in fuga, destando, in quelle prime chiare notti di marzo, le tremule risate delle altre giovani ancelle, che coglievano ogni pretesto per affacciarsi in camicia alle loro finestre.