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anche dai modi mansueti e quasi ingenui del suo rustico mecenate. Decisero dunque di partire subito. La giornata di mezzo giugno sembrava fatta apposta per una gita di quel genere: spirava un vento fresco, di ponente, e i fiori dei quali i campi erano coperti gli si abbandonavano con gioia viva. Il podere, tutto circondato di un’alta siepe di prunalbi ancora fioriti, con una cavdagna centrale che pareva un viale ornato per una processione, e lungo il quale le viti, glauche di solfato di rame, si slanciavano da un gelso all’altro in un inseguimento infantile, dava l’idea di un paradiso terrestre a coltivazione intensiva. Dalle arcate di quel portico fantastico s’intravedevano i prati rosei di trifoglio, e le distese del grano ondulanti e balenanti come le acque di un lago. E di uno sfondo equoreo si aveva l’impressione anche a guardare in alto la rustica terrazza della casa colonica, dove sull’azzurro denso del cielo bianchissime lenzuola tese ad asciugare si gonfiavano come vele.
Il viale non finiva mai: il pittore, appoggiato allo scudo del quadretto, si sentiva ubbriaco di tutta quella generosità d’aria, di trasparenze, di colori teneri e decisi che si accordavano con un’armonia quasi musicale: e il pensiero dello spuntino che la massaia avrebbe preparato con impegno lo rendeva