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cane rabbrividì tutto, come scottato: dalla schiena gli si irradiarono per tutto il corpo i razzi di questo brivido incandescente: si sciolsero in scintille di piacere. Sentì anch’esso un folle desiderio di giocare, di liberarsi dall’opaca schiavitù verso l’uomo, verso le bestie, verso il suo vuoto modo di vivere. Lasciò la volpe, ma la riprese subito, e si avvoltolarono sull’erba, si morsicarono a sangue, sempre in silenzio, con gioia crudele. Poi, d’improvviso, essa fuggì, parve dileguarsi nel crepuscolo dell’orizzonte. Ma il cane vide sull’erba come una scia di luce, e vi andò dietro, pazzo di piacere. La volpe lo aspettava dove appunto il prato aveva una linea d’argine sopra un vuoto azzurro che pareva un fiume, con la vela gialla della luna sorgente: gli si avventò contro, tentò di saltargli addosso: il cane si drizzò; si drizzò anch’essa, e parvero abbracciarsi: poi si atterrarono a vicenda, e ripresero ad avvoltolarsi sull’orlo del declivio, con un gioco tenero e feroce nello stesso tempo.