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Arduina si fermarono un momento per aspettare Massimo, che doveva raggiungerle.

Antonio non le accompagnava, perchè in quelle sere rimaneva al Ministero fin quasi alle nove, compilando dei lavori straordinari.

La piazza era deserta, illuminata da un chiarore giallognolo di luna velata: gli alberi nudi svanivano nell’aria un po’ vaporosa, e le fiammelle gialle e immobili dei fanali parevano lontane lontane. Regina, ferma nel mezzo della piazza, provò una impressione dolce, di silenzio, di solitudine, di immensità; per la prima volta dacchè era a Roma trovò da ammirare qualche cosa.

— Andiamo, — disse Massimo arrivando di corsa, e agitando un paio di guanti nuovi. — Tre e cinquanta! Se stasera madame non mi dà qualche speranza, guai a lei!

— Tu saresti capace di sposarla! — disse Regina con un gesto di ripugnanza.

— Lo volesse! — gridò Arduina.

— Sta zitta! Lo volessi io! — disse il giovane. — Non sono da vendere, io!

Si fermarono davanti al piccolo cancello del giardino della principessa, e Massimo disse:

— Qui entreranno gli amanti di madame!

Poi suonarono alla porta del villino, o dei villini, giacchè erano due, piccoli ma eleganti, uniti da una terrazza aerea, una specie di giardino pensile.

— Sembran due fratellini che si dieno la mano, — disse Regina, sospirando.

Un domestico in frak aperse le porte lucenti, e Regina vide due lupi enormi, che parevan vivi, in agguato sul tappeto rosso dell’ingresso.