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gogna di sè stessa. Abbassò il binoccolo e d’allora in poi non guardò più in alto. Ma davanti a sè vedeva nelle ultime poltrone una fila di signore e di uomini eleganti che guardavano sempre e soltanto ai palchi. Alle sedie. Pareva che, per la gente seduta nelle poltrone, la gente delle sedie fosse d’una razza inferiore, o, peggio, che neppure ci fosse.

— Siamo nulla! Siamo i microbi che riempiono il vuoto! — pensò Regina. Ma ad un tratto si accorse di una cosa strana. Anche lei provava per la gente delle sedie e delle gallerie lo stesso disprezzo indifferente che dovevano provare le persone delle poltrone e dei palchi.

Antonio credeva ch’ella godesse la musica e lo spettacolo come li godeva lui: ogni tanto le stringeva la mano e le diceva qualche cosa gentile.

— Ti dài un’aria da regina, stasera, coi tuoi gioielli! — le disse, fra le altre cose.

— Una regina in esilio! — ella rispose.


V.


Più tardi, ricordando il romanzo del suo primo anno di matrimonio, Regina lo divideva in tanti piccoli capitoli, e fra gli altri dava molta importanza al capitolo della sua prima visita alla principessa Makuline.

Era una sera ai primi di gennaio, velata e tiepida. In piazza dell’Indipendenza Regina e