Pagina:Deledda - Nostalgie.djvu/77


— 67 —

Tornarono a casa stanchi entrambi ed irritati: nel gran letto freddo Regina si rannicchiava lontana da Antonio, ed egli talvolta udiva un pianto soffocato, che invece di intenerirlo finiva di irritarlo. Che aveva ella, ma che aveva infine? Che aveva, che aveva? Non era possibile che ella, così seria, piangesse perchè non trovava subito un appartamentino di suo gusto.

— No, — egli le diceva talvolta, — tu non mi ami più; ti sei pentita di avermi sposato, e piangi per questo. Come mi rendi infelice, Regina!

Regina, lontana da lui nel gran letto freddo, provava una disperata impressione d’abbandono; le pareva d’essersi smarrita in una vasta pianura gelata; il soffio stridente dei tram riproduceva, attraverso il crocchiar della pioggia, l’urlìo del vento umido; tutto intorno era nebbia, e solo, lontano, lontano, lontano, rosseggiava un focolare acceso, e appariva e spariva, nello sfondo vaporoso, una linea d’acqua, una siepe di bosco nudo...

— Perchè ho lasciato la mia casa? — si domandava con stupore. — Mi sono lasciata divellere come un pioppo, ed ecco che, come l’asse del pioppo, mi hanno portato a far parte di questa odiosa costruzione che è la grande città. Mi corroderò anch’io, mi tarlerò, cadrò...

Poi si domandava se davvero non amava più Antonio. In certi momenti le pareva di sì, in certi momenti s’inteneriva pensando a lui.

— Io lo rendo infelice. Egli mi aveva detto che mi aspettava a Roma una famiglia, una vita borghese e modesta. Che pretendo io? D’al-