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gnorile, guardò con rancore la grande scala di marmo, e cominciò a contare i gradini della seconda scala, perfettamente buia in fondo, ma sempre più illuminata a misura che si saliva.

— Undici, ventidue, trentatrè, quarantaquattro, cinquantacinque, sessantatrè... Non ancora?

Si fermò: il cuore le batteva violentemente.

Antonio sorrise con indulgenza. Prese la sua piccinina sotto il braccio e l’aiutò a salire. Più s’andava su e più i gradini erano alti.

— Ottantotto, novantanove. Dio mio, ancora?

— Coraggio!

— Centodieci!

Erano giunti, per grazia di Dio; ma ancora prima che la porta venisse aperta, Regina, palpitante e ansante, diceva amaramente fra sè:

— Qui deve venire ad abitar Regina? Mai! mai!

L’appartamentino era grazioso e signorile: un vero nido nel cuore di quell’immensa foresta di pietra che si chiama città. Due finestre guardavano su un giardino: le altre sopra un cortile sporco. Regina disse subito che c’era poca luce, poca aria, e infine che l’appartamento non le piaceva.

— Poca luce! poca aria! — disse Antonio con meraviglia. — Ma se ce n’è di troppo! Vedi, c’è un giardino sotto. Eppoi io non sono molto distante dal Ministero, e siamo nel centro della città...

— No. Io voglio le finestre sulla via.

— Cercheremo le finestre sulla via! Ma vedrai, per quello che possiamo spendere noi, non