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primo giorno che egli la dovette lasciar sola per tornare al Ministero, ella sentì un vuoto profondo, e le parve d’essere ormai attaccata a lui quanto la corteccia all’albero. Ma l’esistenza in casa Venutelli, il contatto colla suocera, la presenza del sor Gaspare, la camera da letto con le poltrone pesanti come un destino volgare, erano per lei insopportabili.

Roma poi era orribile, sotto la pioggia continua che aveva qualche cosa di crudele e di beffardo. La gente passava, livida in volto; le donne mostravano gli orli delle sottane infangati, il cielo stesso sembrava macchiato, e l’anima di Regina naufragava in tutto quell’umidore nebbioso e fangoso. Ella tornava a casa bagnata e disperata; e in casa c’era freddo, e non c’era fuoco, e c’era noia; e a tavola si stava così male, su quelle sedie alte e rotonde, davanti al volto sarcastico di Massimo, davanti al volto rosso del sor Gaspare, davanti all’enorme petto ansante della signora Anna; e a letto si stava peggio ancora, su quei materassi di ciottoli, nella notte fredda pervasa dal rombo dei tram tintinnanti e dal malinconico roteare delle carrozze.

Ah, era questa la vita di Roma? Ed era questa Roma? Questo il Corso famoso? Quella via stretta e fangosa, piena di cattivi odori, dove la gente pigiavasi e incalzavasi come stupido gregge, facendo ala alle carozze piene di donne vecchie e brutte?

E quello era San Pietro? Regina lo credeva più grande. Quello il Pincio? Ella lo credeva più bello. Quello il Colosseo? Ella lo credeva più imponente. Dove dunque erano le grandezze