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Anche Regina rideva: sapeva confusamente di sognare, perchè anche in sogno analizzava i suoi sentimenti e sapeva che un molino è un molino, e un’anitra non può ridere, e un’anima non può stare arrampicata, su un pioppio; ma una paura misteriosa e un senso di ripugnanza e di tristezza la opprimevano.
Antonio la sentì ridere ancora, d’un riso vago e strano che saliva dalla profondità del sogno come una voce da un pozzo.
— Fa un bel sogno: è contenta la mia piccinina, — egli pensò, quasi commosso.
III.
Quell’inverno fece assai freddo a Roma. Pioveva sempre; anche nelle giornate che sembravano splendide, ad un tratto il cielo si oscurava, soffiava il vento, cadeva una pioggia dirotta: magari durava poco, i marciapiedi si asciugavano subito, le nuvole si dissipavano, il cielo tornava sereno, quasi sorridente per uno scherzo fatto; ma la gente rientrava a casa con le vesti bagnate, i piedi umidi, il petto fremente di tosse e di cattivo umore.
— Il vostro famoso cielo romano mi pare un manicomio senza guardiani, — diceva Regina ad Antonio; — un manicomio dove le nuvole pazze fanno tutto quel che vogliono.
Quell’inverno fu uno dei più tristi della vita della giovane sposa. Ella amava Antonio, e il