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— Sì, musino! Musino, musino e musino... — egli disse, come i bimbi che sostengono un loro insulto infantile.

Quando uscirono, la signora Anna corse a veder Regina abbigliata; palpò la stoffa del vestito, guardò se era foderato di seta: lunghi e penosi sospiri le gonfiavano l’enorme petto rosso. In cucina s’udiva Gaspare borbottare contro Marina.

Regina provò un senso di gioja nel pensare che Gaspare e la suocera non prendevano parte al pranzo di Arduina; ma risalita nel salotto della cognata, mentre si attendeva madame, provò ancora un senso di tristezza penosa.

La sera calava rapidamente: l’ombra si addensava come una nebbia impalpabile, fuligginosa.

Arduina stava nel salottino da pranzo; il sor Mario, sprofondato in una poltrona, coi pantaloni tirati tirati sulle ginocchia, sbuffava benevolmente; Antonio taceva, ridiventato pensoso. Nessuno pensava ad accendere i lumi nel salotto.

Regina sentì qualche cosa di triste, di tetro aleggiare nell’anima. Che cosa era? L’ombra, l’oppressione del crepuscolo in quel luogo ignoto e lontano ove il destino l’aveva attirata; o il riflesso dell’insolita serietà di Antonio? S’avvicinò ai vetri, e cercò di scorgere ancora la vecchietta nera: i lampioni brillavano, bianchi e gialli nel crepuscolo torbido; il marciapiedi brillava: una tristezza infinita, un mistero di ombre paurose calava dal cielo sempre più nero.

— Regina, — disse la voce mutata di An-