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— È vecchia e sorda, — le aveva detto Antonio. — Si dà aria di intellettuale, e protegge o almeno riceve e visita i peggiori imbrattacarte di Roma. Ma già, questi scrittori! Penetrano dappertutto, come le mosche. Bella cosa l’ingegno: quasi quasi vale più del denaro.
— Certo, — aveva risposto Regina, — perchè con l’ingegno si acquista anche il denaro: e se non si riesce ad acquistarlo lo si disprezza!
— Andiamo a cambiarci anche noi, — disse Antonio, pensieroso.
— Non per lei, — aggiunse subito, — ma per noi stessi.
Ridiscesero e Regina indossò il suo vestito di seta avana, mise la cravatta, il fermaglio, gli anelli; s’incipriò e seguì il consiglio di Antonio di gonfiare un po’ i capelli sulle tempie.
— Ah, così stai bene! — egli le disse con compiacenza. — Sembri un’altra.
Anch’egli si cambiò, poi si arricciò i baffi accuratamente.
— Tu vuoi fare il ganimede! — disse Regina scherzando. — Vuoi sedurre quella signora, coi tuoi baffi!
— Va là, sei una gran burlona! Chi vuoi che s’innamori di me? Neanche la veccia corna!1
— Mi sono innamorata io!...
— Ma è davvero che ti sei innamorata? — egli disse, correndo ad abbracciarla. — Vedi, io non ci credo!
— Sei tu che non ti sei innamorato! «Una signorina fine, fine, fine». E poi: «Trentamila lire di dote non sono da disprezzarsi!». «Un musino...»
- ↑ Spauracchio, nel Mantovano.
Deledda. Nostalgie. | 4 |