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— Esser poveri e vecchi! — ella disse, esprimendo la sua impressione al marito.

— Ma che credi? — egli rispose. — Tu credi che quella donnina soffra? È abituata a questa vita, e se la togliessero dalle sue abitudini, anche offrendole un’esistenza migliore, sarebbe infelice.

Regina pensò al suo caso, domandandosi se Antonio non avesse ragione: ma le bastò ricordare che a casa sua, in quell’ora, la luce del fuoco cominciava a indorare il crepuscolo della vasta sala da pranzo, per sentirsi ancora più triste lassù, in quel salottino freddo e disordinato.

La distolse dalla sua nostalgia una notizia portata da Arduina.

— La principessa viene; me lo aveva promesso, ma credevo che con questa brutta giornata non osasse neppure uscire. Ma è tanto buona, tanto intelligente... Io l’adoro. Bisogna che mi vesta. Mario, — gridò poi, andando incontro al marito che rientrava, — viene, viene! Mettiti almeno il thait.

Il sor Mario entrò, serio, paffuto, ansante: strinse la mano di Regina, sbuffò, e alle insistenze della moglie andò a vestirsi. Regina non potè capire se egli era contento o no che la principessa onorasse il loro pranzo: dal canto suo, ella era curiosa ed un pochino anche ansiosa di conoscere una dama autentica o almeno milionaria, per quanto Antonio gliene avesse già disegnato un ritratto poco lusinghiero. E non pensava che la principessa in questione, per quanto milionaria, doveva essere una «dama» non molto autentica se si degnava di andare a pranzo da Arduina.