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l’odore delle castagne arrostite. Sì, quella strada larga e piena di luce era veramente grandiosa: in una vetrina stavano esposti cinque cappelli che attirarono l’attenzione e l’ammirazione di Regina, più che non l’avesse fatto Santa Maria Maggiore. Ma ad un tratto i due fratelli lasciarono Via Cavour e attirarono Regina in una strada melanconica, dalle case antiche, dai giardini pensili su alte muraglie umide simili a bastioni, che saliva e scendeva, senza marciapiedi, senza negozi, animata da una folla meschina e sucida di rivenditori, d’erbivendole, di monelli. Cammina e cammina la melanconica strada non finiva mai; Regina si stancò, s’appoggiò al braccio di Antonio e ricominciò a sentire un cupo senso di tristezza. Quella era Roma?

Antonio e Gaspare ebbero il torto di credere che Regina potesse camminare a lungo come loro, e la trascinarono sino al Foro, dove ella con gli occhi velati di stanchezza, non vide che un campo di rovine umide, un luogo triste, un cimitero sopra il quale le nuvole guardavano dal cielo turchino, ed avvolgevano gli archi e le colonne con veli d’ombra melanconica. Gaspare parlava: ella non l’udiva. Un gran numero di occhiali e di vestiti inglesi tirati su da spilli e da salvagonne, animava la tragica solitudine dell’immenso cimitero; e i frantumi gloriosi, ancora umidi di pioggia, parvero a Regina ossa gigantesche, disotterrate da un popolo di bimbi curiosi, che voleva semplicemente divagarsi profanando l’enorme sepolcro di una civiltà morta.

Dal Foro i Venutelli ritornarono verso piazza