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Si vestì e si lavò malamente, tutto era incomodo, dal lavabo alla specchiera dell’armadio coperta da una densa cortina. Ella sollevò la cortina: guardandosi nello specchio si vide livida, disfatta, brutta, e si rannuvolò.

Non vedendola più comparire, Antonio rientrò: ella aveva dispoticamente rialzato tutte le tende, tutte le cortine, e cercava di riordinare la roba delle valigie.

— Andiamo, che fai? — egli disse un po’ impaziente. E la prese per mano e l’attirò nella stanza da pranzo, ove la signora Anna l’aspettava davanti alla tavola apparecchiata per due, ma. con una quantità di roba sufficiente per dieci persone.

— Io voglio solo un po’ di caffè nero, — disse Regina.

— Caffè nero solamente? Tu sei pazza, mia cara, pazza così per dire, scusami, sai. A Roma bisogna mangiare. Ecco il caffè nero: vuoi metterci un po’ di cognac?

— No: non mi va, non mi piace.

— Ebbene, prova. Vedrai che ti piacerà.

— No, no.

— Sì, sì. Altrimenti mi fai dispiacere.

Ella dovette bere il caffè col cognac, e poi dovette prendere il caffè e latte, e poi la frollata, e mangiare il pane col burro, e i biscotti e il pane. In ultimo le vennero le lagrime agli occhi; le insistenze della suocera l’opprimevano: per confortarla la signora Anna le chiese se voleva anche una tazza di brodo e un’ala di pollo.

— Ma voi volete farmi morire! — ella gridò comicamente disperata.