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— Piacere! — pensò Regina, guardando le grosse mani della suocera, brune, screpolate, puzzanti d’aglio, che contrastavano sul candore venato di viola delle sue braccia delicate.
— Vuoi il caffè? Vuoi del latte? Ora ti porterò il caffè, il latte, una frollata, un po’ di panna...
— Per carità! Non voglio niente.
— Alzati! — disse Antonio. — Comincia a spiovere: usciremo.
— Tu vuoi farla uscire con questo tempo! — protestò la suocera. — Sei matto: ella rimarrà a letto. Quando ero giovane, — si rivolse a Regina, — io rimanevo a letto tutta la mattina: ora i tempi son mutati. Allora le donne di servizio erano fedeli, attive, intelligenti, e la padrona poteva far la signora anche se non lo era. Io, grazie a Dio, potevo farlo...
— Anche ora potreste farlo! Che cosa vi manca? — disse gentilmente Regina.
— Dio! Con le donne di servizio di ora! Ladre, poi, false, ingrate! Sono il tormento, il veleno della nostra vita. Un tempo io le amavo come persone di famiglia: ora non le amo più, non lo meritano. Questa che ho ora mi fa venire il mal di cuore, certe volte, per i dispiaceri che mi dà...
— Alzati, — ripetè Antonio.
Ma Regina non volle alzarsi finchè non la lasciarono sola: allora si buttò dal letto, e rimase un istante ritta nella sua lunga camicia, nella luce grigia che penetrava dalle tre orribili finestre. Guardò desolatamente il caos degli oggetti sparsi per la camera, e tremando fece una triste scoperta: a Roma c’era più freddo che al suo paese!