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e sorrideva: egli sapeva già che dovevamo sposarci!
— Ecco il signor Antonio Venutelli, vice-segretario al Ministero del Tesoro; ecco la nobile signorina Regina Tagliamari, — proseguì Antonio, imitando la voce nasale del vecchio maestro che aveva preparato il suo primo incontro con Regina. — Una vera Regina di bontà e d’ingegno, degna di regnare nella Città Eterna. Roma intangibile! Ci andremo e ci resteremo!
— Povero vecchio! — disse Regina di nuovo seria. — Sì, certo, a lui dobbiamo il nostro incontro.
— E a casa tua cosa diranno, ora? Diranno: Regina ora è a Roma, ed è ancora a letto, pigrona; e non è stata ancora a messa, scomunicata. Essere a Roma e non andare a messa!
— Ma guarda! — ella disse, battendo le mani e imitando l’accento un po’ comico del marito. Ma non era più allegra, no. Una cara visione le struggeva il cuore: vedeva la sua mamma, la sua buona e delicata mamma, e la sua sorellina graziosa, e il fratello più piccolo, il suo prediletto, che uscivano per andare alla messa delle nove. Il villino sull’argine rimaneva deserto, velato di nebbia, tra i pioppi nudi, come una Casina fantastica in fondo a uno scenario; nell’interno il gran camino ardeva; il gattino nero contemplava il fuoco; il quadro del Baratta si illuminava di tinte grigie e rosate che gli davano un rilievo suggestivo.
Un suono di campana, purissimo, si spezzava con vibrazioni metalliche nell’aria rigida, e tutto un paesaggio nordico, attraversato da un gran fiume serpeggiante, azzurrognolo come una