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io glielo dissi: noi siamo una famiglia d’impiegati, discendenti d’impiegati. Mia madre è una massaia; mia cognata una scema innocua. Ella diceva che non gliene importava niente; che mi amava e bastava. Che vuole dunque?

Ebbe una stolta voglia di respingerla, di allontanarla da sè, in quel gran letto freddo che pareva senza confini: ma ella era così fragile, così sottile, così fredda, abbandonata come una morta sul suo petto caldo e pulsante!

— Ho fatto male a portarla qui! Dovevo far preparare il nostro nido, e condurla là, subito. Ella è ora come un fiore divelto, che bisogna subito trapiantare in terreno adatto.

La guardò con profonda tenerezza, e stette immobile, per non turbare il sonno sceso sulla stanchezza e sulla nostalgia di lei.


II.


Allo svegliarsi, la mattina dopo, Regina si trovò sola nel gran letto duro.

Pioveva: una penombra grigia e melanconica rendeva la camera ancora più triste. Fuori rumoreggiavano le carrozze, i tram passavano stridendo, e avevano come un mugolìo di vento tempestoso che destò in Regina un’impressione di tristezza indimenticabile. Le parve che tutta la città fosse pervasa da un uragano, attraverso il quale risuonavano mille rumori diversi: tutto un rombo di vita affannosa, tetro sotto la pioggia incessante.