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gelido e largo come il letto d’un fiume! Ella provò come l’impressione di un naufragio; intorno le galleggiavano le valigie aperte, le scatole, le tende, i mobili antipatici: in alto incombeva, soffocante, quel soffitto grigio, simile ad un cielo piovoso: confusi rumori vibranti nel silenzio della notte arrivavano di lontano, da un luogo sconosciuto e misterioso; il riso scemo di Arduina e la voce isterica di Claretta risuonavano ancora nelle stanze attigue. E su tutte le cose, e su tutte le voci vicine e lontane, un fischio melanconico, il lamento sibilante d’un treno notturno, pareva a Regina un grido altre volte udito, in un luogo lontano: un grido che chiamava, invitava, implorava... che cosa? Ella non sapeva, ella non ricordava... ma era certa d’aver qualche volta udito quel grido, che ora sibilava per lei sola, cercandola nella notte della grande città sconosciuta, e le ripeteva cose strane, dolci e strazianti...

— Ah, finalmente! Dove sei? — disse Antonio, abbracciandola. — Questo è un deserto sconfinato! Oh, che mani fredde! Tremi, hai freddo?

— No.

— E allora perchè tremi? — egli chiese, con voce mutata. — Non sei contenta, Regina?

Ella non rispose.

— Non sei contenta?

— Sono stanca, — diss’ella, con gli occhi chiusi. — Sento ancora il moto del treno. Senti tu il fischio?... Oh, — disse poi, come in sogno, — lo riconosco. Pare il fischio del vaporino del Po. Ah, partire...

— Sei appena arrivata e pensi già di partire?