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vero? — le disse, piano, con voce quasi supplichevole.

Regina si alzò; Arduina e Claretta le corsero addosso, l’abbracciarono, la baciarono, l’accompagnarono fino alla camera, la baciarono ancora.

Rimasta sola con Antonio, ella provò un senso di sollievo: ma immediatamente l’uscio fu riaperto e la suocera entrò...

— Cosa vuole? — chiese Regina smarrita: e chiuse gli occhi, abbandonandosi su una delle mastodontiche poltrone che ingombravano la camera.

La signora Anna s’avanzò fino al letto, ansando e sospirando.

— Ah, — diceva, tragicamente, — non sanno far nulla! Perdona, figlia mia; hanno perduto la testa...

— Ma che è avvenuto? — chiese Antonio, già mezzo svestito.

— Non hanno aperto il letto! — esclamò la signora, prendendo i cuscini e stringendoli al suo grosso petto ansante.

Andò e venne: accomodò i copripiedi; guardò entro i tavolini da notte, esaminò la bottiglia dell’acqua.

Regina aspettava, per svestirsi, che la vecchia se n’andasse: buttata sulla poltrona, gli occhi chiusi, le mani abbandonate sul grembo, ella sentiva il passo incerto e il respiro ansante della suocera, e pensava con angoscia al domani.

— Domani ancora, e posdomani ancora, e poi sempre io avrò da fare con questa gente! È orrendo!

— E la camicia da notte? — chiese Antonio, in maglia e mutande.