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assopivano, cullate dalla cantilena infantile dell’acqua in fondo al burroncello.

E in tutto questo silenzio armonioso, Regina, mentre finiva il suo racconto, sentiva l’indifferenza solenne della natura per l’uomo ed i suoi casi meschini.

— Noi siamo soli, — concluse, suggestionata da questa impressione di solitudine e di abbandono. — Soli nel mondo del nostro errore, se veramente l’errore c’è. Compatiamoci a vicenda, e rinnoviamo la nostra esistenza. Se ci combattiamo noi, chi può aiutarci? I nostri parenti, i nostri amici, possono anche morire per noi, senza che la loro morte rechi un istante di sollievo alla nostra pena. Una volta ho letto una novella, d’un marito che voleva uccidere la moglie. Mentre stava per ferirla, ella smarrita gli si gettò addosso, cercando instintivamente protezione in lui, nell’assassino, tanto era abituata a considerarlo il suo difensore. Quante volte anch’io, in questi giorni di dubbio, mentre ti spiavo, vergognandomi, mentre combattevo l’idea di rivolgermi ad estranei, per sapere... sapere... quante volte ho sentito l’impeto di rivolgermi a te, per pregarti di parlare, di salvarmi, di proteggermi... Vedi, la natura essa è indifferente per noi; vedi, in questo momento, mentre forse si decide la nostra vita, ogni atomo, ogni luce, ogni onda corre verso il proprio destino senza commuoversi dei casi nostri. Noi siamo soli, soli e sperduti... Se ci dividiamo dove andiamo? Eppoi, se abbiamo errato, non abbiamo appunto errato per non dividerci? Se ci lasciamo, passiamo cadere in errori più gravi. Vicini ci so-